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Restauro del dipinto DIANA AL BAGNO

Presidenti

Le presidenti di LC GUBBIO PIAZZA GRANDE, Anna Maria Bartoletti e di LC LODI QUADRIFOGLIO, Maria Adele Morini

Anna Morena, che ha eseguito il restauro, e Silvia Alunno, che ha svolto le ricerche storico-artistiche

Anna Morena, restauratrice – Anna Maria Bartoletti – Silvia Alunno, storico dell’arte

Il quadro restaurato

Il dipinto restaurato

vai alla Galleria fotograficaPresentazione del restauro del dipinto (PdF)

In qualità di Presidente del Lions Club Gubbio Piazza Grande ho il privilegio di riconsegnare alla città l’opera pittorica avente per soggetto Diana e le Ninfe sorprese da Atteone, appartenente al nostro Museo Civico.
L’abile restauro che ha portato a nuova luce il dipinto, ne ha rivelato un interesse superiore a quello fino ad oggi riservatogli e lo ha riconosciuto meritevole di un maggiore approfondimento sulle sue origini e sulla sua collocazione culturale.
Questa iniziativa ha dato al Club l’occasione per rivolgere ancora una volta la propria attenzione all’immenso patrimonio storico e artistico della nostra città e per metterne in luce il patrimonio umano nella maestria, competenza e preparazione delle due giovani concittadine Anna Morena, che ha eseguito il restauro, e Silvia Alunno, che ha svolto le ricerche per la parte artistica.
Un grazie al Lions Club Lodi Quadrifoglio, che ha voluto partecipare con il proprio contributo a questa iniziativa e che, con la presenza della sua Presidente Maria Adele Morini alla riconsegna della tela, ha voluto testimoniare il suo apprezzamento e la sua amicizia nei confronti della nostra città.

Anna Maria Bartoletti
Presidente Lions Club Gubbio Piazza Grande

Il restauro del dipinto “Diana al Bagno” s’inserisce in un percorso di proficua collaborazione tra Comune di Gubbio e il Lions Club Gubbio Piazza Grande che, da sempre, si è mostrato attento alla tutela e valorizzazione dei beni culturali della nostra Città.
È sicuramente una ricchezza per il Comune di Gubbio poter contare sulla sensibilità culturale di questo club che, unito alla professionalità e competenza degli uffici dell’assessorato alla cultura, riesce a produrre progetti qualificati ed ad attualizzarli in breve tempo.
In questa cornice emerge il progetto pluriennale redatto dall’ufficio beni culturali e autorizzato dalla Soprintendenza di competenza che prevede il restauro di tre dipinti su tela esposti nella Sala V della Pinacoteca Comunale di Palazzo dei Consoli e che il Lions ha deciso di sposare mostrandosi fedele promotore della tutela del nostro patrimonio artistico.
Un plauso dunque a questa sinergia e un augurio affinché il futuro possa essere ricco di altre collaborazioni mirate alla valorizzazione delle ricchezze storiche, artistiche, architettoniche che la nostra splendida e antica Città serba in sé.

Marco Bellucci
Assessore alla Cultura del Comune di Gubbio

Scheda Tecnica

Il supporto in canapa a tramatura a spina di pesce è costituito da due teli cuciti verticalmente, aventi le dimensioni 50,5×19 cm e 50,5x47cm; inoltre era presente una nuova tela da rifodero, ancorata con chiodi posti perimetralmente ad un telaio di sostegno, non originale, costruito in legno di pioppo con due ritti e due traverse esterne, con un sistema di espansione angolare a “zeppe”.
L’opera è dipinta con colori ad olio con un impasto molto fluido su una preparazione di colore rosso-bruno.

Stato di Conservazione

L’opera si trovava in discreto stato conservativo per quanto riguarda l’aspetto statico, in quanto sottoposta precedentemente ad un intervento di restauro, consistente in una foderatura ed un ritensionamento sull’attuale telaio, mentre non era in buono stato dal punto di vista estetico.
La pellicola pittorica presentava una craquelure accentuata su tutta la superficie dipinta, con fenditure anche evidenti in particolare nelle zone più scure e principalmente nella parte inferiore del dipinto, causando così numerose microlacune.
La cromia originale era fortemente alterata per la presenza di vernici e oli sovrammessi, che assieme alla polvere grassa depositata, erano causa di una difficile lettura dell’opera.

Intervento di Restauro

La prima operazione eseguita sull’opera è stata quella di constatare se l’adesione della precedente foderatura aveva ancora una buona tenuta, analisi necessaria per stabilire se evitare un nuovo rintelo, essendo questo un intervento fortemente invasivo.
Poichè non si sono evidenziati difetti di adesione, si è proceduto con la pulitura, prima del retro mediante l’uso di pennelli per rimuovere la polvere accumulata, poi della pellicola pittorica, condotta con miscele solventi volatili neutralizzate con essenza di trementina, per eliminare gli strati di vernice visibilmente alterati e le polveri grasse depositate.
Si è quindi proceduto con la stuccatura delle lacune, con gesso di Bologna e colla di coniglio, portate poi a livello tramite abrasione con bisturi.
La conseguente reintegrazione pittorica è stata eseguita con colori ad acquarello Winsor & Newton e in seguito con colori a vernice Maimeri, con la tecnica della chiusura totale delle numerose microlacune.
L’intervento si è concluso con una verniciatura finale a pennello con vernice Mat e Retoucher in proporzioni 1 a 2, ed una successiva nebulizzazione con resine acriliche.
Il telaio in legno di pioppo è stato sottoposto ad un trattamento antitarlo con Permetar e si è provveduto ad inserire delle nuove “zeppe” al fine di garantire un adeguato tensionamento.
La cornice in foglia d’argento meccata è stata sottoposta ad un trattamento di disinfestazione tramite Permetar, poi è stata eseguita una lieve pulitura per rimuovere i depositi superficiali di polvere.
Successivamente si è passati alla chiusura delle lacune con gesso di Bologna e colla di coniglio; dopo un’accurata levigatura per portarle a livello, sono state reintegrate tramite acquarelli Winsor & Newton, concludendo l’intervento con una lucidatura a cera.

Periodo dell’intervento: marzo – maggio 2012

La Restauratrice
Anna Morena

DIANA AL BAGNO

Il dipinto raffigura il noto episodio della mitologia classica che vede protagonista la dea Diana e le ninfe sue compagne di caccia, sorprese durante il bagno dal giovane Atteone.

Non sono note le modalità attraverso le quali questa opera sia giunta alle collezioni del Comune di Gubbio: tali raccolte, formatesi negli anni sessanta/settanta dell’Ottocento a seguito della soppressione delle congregazione religiose da parte del neonato Regno d’Italia – che ha così incamerato tutti i beni di proprietà ecclesiastica – comprendono in massima parte dipinti a tema sacro, sia di grande che di piccolo formato; considerando tuttavia il soggetto profano e la tipologia “da cavalletto” della tela con Diana e le ninfe sorprese da Atteone, si può supporre come questa fosse destinata alla fruizione privata: risulta pertanto plausibile ipotizzare una sua provenienza dal mercato antiquario[1].

La prima notizia relativa al nostro dipinto va rintracciata nelle ben note memorie di Oderigi Lucarelli, che nella Sala della Giunta di Palazzo Pretorio, cita un dipinto identificabile con quello in esame, pur riportandone però l’errata intitolazione “… Diana sorpresa da Endimione …” e un’attribuzione alla scuola bolognese[2]. La stessa intitolazione è riferita anche nell’Inventario dei beni mobili esistenti nel Gabinetto della Giunta (1895)[3], che si mostra largamente debitore della compilazione del Lucarelli, e in un successivo inventario del 1906 il quale, pur mantenendo inalterati il titolo e l’attribuzione, ha il pregio di riportare le misure dell’opera (72 X 76 cm), consentendo così di identificarla con sicurezza con quella oggi in esame: dallo stesso manoscritto apprendiamo inoltre come questo dipinto, nell’ambito del trasferimento del Museo Civico di Gubbio dal Palazzo Pretorio al Palazzo dei Consoli, fosse destinato alla Sala delle Fontane[4]. Dall’ultimo inventario disponibile, datato 1933, il dipinto risulta già nella sua attuale ubicazione, cioè la Sala V o della Loggia[5].

Passando ora agli aspetti legati all’iconografia, scopriamo come la fonte letteraria dell’episodio di Diana ed Atteone, largamente rappresentato dagli artisti di ogni epoca[6], è costituita dalle Metamorfosi di Ovidio, che narra questa vicenda nel terzo libro del poema (vv. 138-252). L’opera ovidiana conobbe una straordinaria fortuna sin dal Medioevo, dal momento che si costituì presto come canale privilegiato per la conoscenza della mitologia del mondo antico: diffusa anche attraverso volgarizzamenti, moralizzazioni ed illustrazioni a stampa, ha ispirato gli artisti – e non solo pittori – sino a tutto il XVII secolo.

Nel Seicento in particolare, la dominante cultura arcadica, che canta la natura incontaminata come luogo idilliaco di perdute virtù, mostra spontanee affinità con i miti legati alla selvaggia Diana, divinità protettrice dei boschi e amante dei luoghi solitari: le storie della austera dea vergine e delle sue ninfe divengono così soggetti privilegiati per la pittura[7]. Accade dunque spesso che i loci amoeni descritti dai poeti arcadici, che a loro volta si richiamano anche alla tradizione bucolica virgiliana ed allo stesso Ovidio, trovino così il loro equivalente figurativo nei dipinti dove le storie mitologiche di argomento “pastorale” vengono immerse in suggestivi paesaggi.

La Diana e le ninfe sorprese da Atteone del Museo Comunale di Gubbio ben si pone, dunque, in questo filone figurativo di matrice arcadica: il dipinto appare piuttosto aderente al testo ovidiano, che colloca la vicenda in una suggestiva ambientazione naturale: la scena è immersa nell’oscuro intrico di un bosco, in “una valle fitta di pini e di aguzzi cipressi, di nome Gargafia, sacra a Diana dalla veste succinta; nelle sue più folte profondità c’era una grotta non costruita dall’arte umana: la natura col suo talento simulava l’arte, costruendo un arco spontaneo con pomice viva e tufo leggero; a destra risuona del suo rivo sottile una fonte lucente…”[8]. In questa evocativa scenografia, fedelmente resa dal pittore, il gruppo principale è costituito dalla dea e da due sue compagne, le quali sono colte nell’attimo in cui si accorgono della presenza dell’ignaro quanto sorpreso Atteone, raffigurato in abbigliamento da caccia in secondo piano, sul margine destro del quadro: egli appare già in piena metamorfosi, dal momento che sul capo gli spuntano le corna di cervo. Sullo sfondo, compaiono altre figurette di ninfe, bagnate dalla luce. Diana, contraddistinta dalla falce lunare sulla fronte, si è voltata di scatto verso l’intruso, sul cui volto spruzza l’acqua della sorgente come punizione per aver osato guardare la sua nudità; una volta completata la trasformazione in cervo, lo sfortunato cacciatore finirà per essere sbranato dai propri cani che riconosceranno in lui la preda e non più l’amato padrone.

Se dunque sono piuttosto chiare le questioni legate all’iconografia della Diana e le ninfe sorprese da Atteone, più misteriosa appare l’estrazione culturale dell’ignoto autore di questo dipinto, che merita senz’altro un’indagine più approfondita: il suo stile si caratterizza per una resa pittorica libera e sciolta, dove i particolari e le figure sullo sfondo sono appena accennati da tocchi di pennello; più nitidi appaiono i corpi femminili in primo piano e soprattutto i dettagli della vegetazione, resa quasi foglia per foglia. La tradizione storiografica, che muove dal Lucarelli, riconduce il dipinto alla scuola bolognese della prima metà del Seicento[9]. Questa attribuzione rimane ancora del tutto comprensibile per via del sapore carraccesco dei corpi femminili in primo piano[10]; ad una più attenta analisi, tuttavia, non sfuggono rimandi alla pittura di paesaggio di scuola nordica: i più o meno lunghi soggiorni italiani di artisti come Jan Bruegel, Matthijs e Paul Bril, Adam Elsheimer o Joachim Wtewael determinarono certo – dalla fine del ‘500 e per tutto il XVII secolo – un’osmosi culturale tra la multiforme tradizione figurativa dell’Europa settentrionale e quella italiana, in un intrico di reciproche influenze e suggestioni ancora in parte da districare. È in tale vivace contesto che andrebbe forse ricercato l’ignoto autore della tela con Diana e le ninfe sorprese da Atteone, ed è in questa direzione, inoltre, che ci spingono due incisioni uscite ad inizio Seicento dalla bottega dei calcografi senesi Matteo e Giovanni Florimi, che mostrano evidenti legami iconografici col nostro dipinto[11]. Come riportato in calce all’illustrazione, le stampe replicano un dipinto del pittore di Anversa Pauwels Franck (detto Paolo Fiammingo) attivo a Venezia nell’ultimo decennio del ‘500: restano per ora da indagare le relazioni tra il dipinto del museo di Gubbio, il prototipo del Fiammingo e le due versioni a stampa dei Florimi.

Silvia Alunno
Si ringrazia il Prof. Giancarlo Marchetti


[1] È noto come il Comune di Gubbio acquisì un certo numero di oggetti da alcuni mercanti locali, cfr. C. Armeni, C. Falcucci, Museo Comunale di Gubbio. Incisioni, Perugia 1993, p. 19; P. Castelli, Il Museo di Gubbio dal periodo postunitario al primo Novecento, in Il Museo di Gubbio. Memoria e identità civica, a cura di P. Castelli e S. Geruzzi, atti del convegno di studio, Pisa-Roma 2012, p. 31.

[2]O. Lucarelli, Memorie e guida storica di Gubbio, Città di Castello 1888, p. 518, n. 24.

[3] Inventario dei beni mobili esistenti nel Gabinetto del Sindaco, Camera della Giunta, Camera del onsiglio, Corridoi e Camera dei Messi. Comune di Gubbio, Ufficio Attività Culturali e Sportive.

[4] Inventario dei beni mobili di proprietà comunale. Oggetti d’arte ed antichi, 1906. Comune di Gubbio, Ufficio Attività Culturali e Sportive.

[5] Inventario dei beni esistenti nella Pinacoteca e Museo Archeologico nel 1933. Comune di Gubbio, Ufficio Attività Culturali e Sportive.

[6] Ricordiamo, a titolo di esempio, l’omonimo dipinto di Tiziano alla National Gallery of Scotland di Edinburgo, quelli del Cavalier d’Arpino e di Francesco Albani conservati al Louvre, fino al dipinto della cerchia di Agostino Tassi presso Palazzo Pitti a Firenze. Sono inoltre numerose, in ogni epoca, le versioni a stampa del mito di Diana e Atteone, realizzate con grande varietà di tecniche di incisione, così come sono giunti fino a noi diversi esemplari di maioliche istoriate che recano questo soggetto.

[7] Cfr. A. Griseri, Arcadia: crisi e trasformazione fra Sei e Settecento, in Storia dell’Arte Italiana. Parte seconda. Dal Medioevo al Novecento. Volume secondo. Dal Cinquecento all’Ottocento. Tomo primo. Cinquecento e Seicento, Torino 1981, pp. 560-562.

[8] Publio Ovidio Nasone, Opere. II. Le metamorfosi, Torino 2000, libro III, p. 109, vv. 155-161.

[9] Oltre al già citato Lucarelli, cfr. Q. Rughi, Gubbio, Perugia 1976, p. 43; T. C. I., L’Italia. 1. Umbria, Milano 2004, p. 244.

[10] Si veda ad esempio la tela attribuita ad Annibale Carracci del Musées Royaux des Beaux-Arts de Belgique di Bruxelles, inv. n. 732.

[11] Londra, British Museum, inv. U,2.156; Montecatini Terme (PT), Museo della Propositura di San Pietro Apostolo, inv. 383405.

– vai alla Galleria fotografica (foto della presentazione: Maria Teresa Bianchi, foto delle fasi di restauro: Anna Morena, foto del quadro restaurato: Giampaolo Pauselli ) –
Presentazione del restauro del dipinto (PdF, grafica e stampa Tipografia Donati) –


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